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Intervista con Sergio Givone

In Criticism by Voyages Journal

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Photo Credit: Alessandra Capodacqua

UN NUOVO UMANESIMO?

La centralità dell’essere umano alla base della modernità è messa in discussione dalla biologia da un lato e dalla tecnologia dall’altro. È necessaria la formulazione di un nuovo umanesimo e, se la risposta è affermativa, di cosa si dovrebbe occupare maggiormente?

È indubbio che tanto la biologia quanto la tecnologia abbiano contribuito a ridimensionare e a umiliare la presunzione umana: la prima facendoci capire che siamo natura allo stesso titolo di qualsiasi altre specie naturale, la seconda creando macchine molto più potenti di noi, che a nostra volta, almeno per certi aspetti, siamo macchine. Proprio la biologia e la tecnologia inoltre ci hanno costretto a riconoscere che siamo soggetti a leggi che ci determinano e ad apparati che ci dominano, senza che noi possiamo fare nulla o quasi nulla. Altro che centralità dell’essere umano! Eppure il discorso non si chiude qui. Al contrario. Sul mondo incombe come non mai una minaccia di distruzione della vita umana e questa eventualità sembra un che di fatale. Eppure chi, se non l’uomo, porta la responsabilità di disastri che in realtà hanno la causa in comportamenti dissennati e in azioni sciagurate da parte degli esseri umani? Proprio questa idea di responsabilità – responsabilità nei confronti di ciò che appare come un destino ma che è nelle nostre mani – è alla radice di un umanesimo quanto mai necessario che al tempo stesso è nuovo e antico.

UN’ETICA GOBALE

Molti dei problemi odierni sono globali e richiedono soluzioni globali. Il raggiungimento di obiettivi comuni richiede regole condivise. È possibile un’etica globale? In caso affermativo, quali sarebbero i suoi principi e valori unificanti?

Se per etica globale intendiamo, com’è giusto, un’etica che abbia valore d’universalità ossia che sia valida per tutti, indipendentemente dall’appartenenza di ciascuno a una determinata tradizione, allora dobbiamo rispondere dicendo che non solo è possibile un’etica globale, ma un’etica propriamente non è possibile se non in quanto globale e universale. Ciò che distingue l’etica (o la morale) dal costume è che le massime del costume sono dettate dalle usanze, le massime dell’etica invece sono la voce stessa della coscienza: e le usanze sono sempre particolari e relative ai tempi e ai luoghi, la voce della coscienza invece vuole essere incondizionata per non dire assoluta. Donde l’assunto che riassume tutti i principi e i valori di un’etica che sia veramente tale e che potremmo indicare con due sole parole: la dignità dell’uomo. A questo proposito potremmo rifarci agli umanisti fiorentini, che tanto hanno insistito sulla dignità dell’uomo e cioè su quella libertà che rende l’uomo responsabile nei confronti di tutti gli altri, ma prima ancora nei confronti di se stesso e della propria vita. Così come sarebbe opportuno tornare a Kant e al suo celebre ammonimento: non trattare mai i tuoi simili come se fossero semplicemente dei mezzi, perché ciascuno di loro, umile o grande che sia, è sempre fine a se stesso.

TECNOLOGIA E DECLINO DEGLI STANDARD MORALI

Questo argomento è stato trattato in varie pubblicazioni. Alcuni pensano che l’attuale crisi morale sia stata semplicemente resa visibile dalla tecnologia, altri sono convinti che la tecnologia vi abbia contribuito. Qual è la sua opinione?

Io credo che la crisi morale non sia cosa di oggi, ma di sempre, poiché la morale – qualunque essa sia – ha per l’appunto lo scopo di metterci in crisi con noi stessi. È la morale a far sentire l’uomo inadeguato e incapace di rispondere alle sfide del suo tempo, ed è la morale a contrapporre un piú alto sentire e un habitus di ordine superiore alle abitudini storiche di cui l’uomo è fatto. Se le cose stanno cosí, è vero sia che la tecnologia ci costringe ad aprire gli occhi sulla crisi, sia che la tecnologia aiuta a porla in essere. Piú semplicemente, la tecnologia fa esplodere la crisi. Non è forse la tecnologia che conduce l’uomo, inavvertitamente, e quasi con dolcezza, in un mondo semplicemente disumamo? Consideriamo ad esempio le possibilità meravigliose e spaventose – meravigliose per ciò che riguarda la cura di malattiie altrimenti incurabili, spaventose se si pensa alla creazione in laboratorio di Übermenschen o Untermenschen – che ci vengono offerte dalla cosiddetta ingegneria genetica. Si dirà che si tratta di processi ormai irreversibili e che niente e nessuno potranno fermare. Eppure è pur sempre l’uomo a doversene far carico. Anche quando l’uomo, cosí come noi oggi lo conosciamo, non ci sarà più.

ANALFABETISMO SCIENTIFICO

Come si può spiegare l’analfabetismo scientifico in quella fascia di popolazione che ha accesso alla conoscenza scientifica tramite l’istruzione e Internet?

L’analfabetismo scientifico convive tranquillamente con internet, e per certi aspetti ne è il prodotto, poiché nel web si possono trovare tutte le informazioni possibili e immaginabili, ma senza formazione, senza autentica consapevolezza di che cosa sia la scienza, e come praticarla, resteremo sempre degli analfabeti. Neanche l’istruzione serve a granché, se non è accompagnata da una formazione degna di questo nome. L’istruzione (esattamente come accade con qualsiasi manuale d’istruzioni) mi potrà spiegare come funziona uno strumento e che cosa io possa fare o non fare con esso. Ma tenderà inevitabilmente a rendermi succube di quello strumento e dell’intero apparato strumentale, se prima qualcuno o qualcosa non mi avrà preparato a usarlo e a non abusarne. Questo qualcuno o qualcosa si chiama formazione.

SFIDE PER L’EDUCAZIONE

Quali sono le principali sfide per l’educazione in un mondo che deve confrontarsi con minacce di sopravvivenza e divisioni sempre più profonde?

Sono molte le forme di educazione di cui oggi sentiamo la necessità, anzi, l’urgenza, non appena riflettiamo sui mutamenti epocali in corso che ci obbligano a ripensare il senso stesso dell’essere al mondo: educazione alla cittadinanza, educazione al linguaggio, educazione alla sessualità, e cosí via. Ma una in particolare porterei all’attenzione: l’educazione al sapere. Perché non è sapere, non è cultura, ma semplice know how, quello che ignora il pensiero critico e soprattutto quello che non si chiede che cosa significhi abitare umanamente (e non barbaramente!) la terra.

 

Sergio GivoneSERGIO GIVONE (1944) è professore Emerito di Estetica nellUniversità di Firenze. Ha insegnato nelle Università di Perugia e di Torino. Eautore di numerose pubblicazioni, fra cui: Storia del nulla, Roma-Bari, Laterza, 1995; Metafisica della peste, Torino, Einaudi, 2012, Luce daddio. Dialoghi dellamore ferito, Firenze, Olschki, 2016. Presso Einaudi sono usciti anche tre romanzi, ultimo dei quali Non c’è più tempo, 2008. Il suo libro più recente è Fra terra e cielo. La vera storia della cupola dei Brunelleschi, Milano, Solferino, 2020.